CONSIGLI E CURIOSITA' CULINARIE

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    Il pangrattato

    * Se avanzate spesso il pane, lasciatelo seccare già tagliato a pezzi in un sacchetto di carta finché sarà ben duro.
    * Grattugiatelo con qualsiasi robot da cucina o grattugia.
    * In seguito, frullatelo o passatelo al setaccio per ottenere solo briciole finissime.
    * Riponetelo in un vasetto di vetro o di latta ben chiuso. Vedrete che si conserva per parecchie settimane ed è tutt'altra cosa rispetto a quello industriale confezionato.
     
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    Apparecchiare all’aperto con stile

    Con l’estate è arrivato anche (e finalmente!) il momento di organizzare tanti pranzi all’aperto…largo quindi ai vostri menu estivi, freschi e fantasiosi: grigliate, paste fredde, carpacci e sorbetti la faranno da padrona, riempiendo le vostre tavole di colori e profumi deliziosi. Per rendere ancora più creativa e sfiziosa la vostra tavola estiva all’aperto, largo alla fantasia ed al colore. Potete realizzare un centrotavola di candele galleggianti o di fiori di carta. Se il menù che proporrete è a base di pesce, potete decorare la vostra tavola sparpagliando qua e là delle conchiglie ed apparecchiando nei toni dell’azzurro; se invece avete realizzato un menù più modaiolo, a base di piatti finger food, potete optare per richiami orientali, come degli ombrellini, degli origami colorati, o delle piccole lanterne di carta, che potrete acquistare presso un qualunque negozio di articoli orientali. Se, infine, il vostro menù è tipicamente mediterraneo, potrete realizzare molto facilmente dei mazzolini di erbe aromatiche, da fissare ai tovaglioli dei vostri ospiti con un semplicissimo giro di spago. Largo alla fantasia e buon divertimento!
     
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    IL PH DEGLI ALIMENTI


    Qual è il significato della parola “ph” e perché è così importante per la salute? Per pH si intende una scala grazie alla quale è possibile misurare l’acidità; il termine risale agli inizi del 1900 ed è collegato al Chimico Soren Sorensen. La traduzione dal tedesco significa Potenz Hydrogen, ovvero potenza dell’idrogeno.
    La p (operatore), rappresenta due operazioni da applicare alla concentrazione idrogenionica (H+) in una soluzione acquosa. Il pH ha dei valori che vanno da 0 (molto acido) fino a un massimo di 14.14 (molto alcalino). Ad esempio l’acqua pura ha un pH di 7,07, mentre la frutta ha un pH generalmente acido, così come è molto acido l’ambiente gastrico che oscilla da 1 a 1,6.

    Gli ambienti troppo alcalini permettono e favoriscono la moltiplicazione batterica, ecco perché è importante conoscere il pH degli alimenti poiché ciascuno di essi può favorire una reazione acida (vedi la frutta) oppure alcalina, con conseguente neutralizzazione degli acidi.
    Tutti gli alimenti hanno una particolare e specifica composizione chimica e un determinato grado di acidità. Quest’ultimo aspetto è molto importante per lo sviluppo dei microrganismi; infatti, negli alimenti con un pH inferiore a 4,5 i microrganismi sporigeni non si sviluppano, mentre se il valore va oltre il 4,5 lo sviluppo e la moltiplicazione di tali germi è favorita. Un alimento acido, scatena una reazione chimica in base alla quale ne consegue una sottrazione di sali minerali all’organismo, al contrario un alimento alcalino tende a non sottrarre sali minerali fungendo da bilancia. Da ciò deriva che una corretta alimentazione non dovrebbe eccedere né in soli cibi acidi e nemmeno in cibi prettamente alcalini, ma trovare il giusto equilibrio di entrambi. Questo si riflette anche in un equilibrio a livello ematico in cui la situazione di bilanciamento si ha quando il sangue è basico-alcalino.


    Quali sono i cibi che stimolano una reazione acida?
    Formaggi, cereali (soprattutto quelli raffinati, ma è in realtà, tutti i cereali sono acidi), frutta secca (noci, arachidi, ecc) fagioli, sostanze nervine (tè, cioccolato e caffè), uova, pesce, carne (la digestione di quest’ultima prevede un’importante creazione di acido urico). Tra le bevande, se si esclude l’acqua, si deve soprattutto considerare quelle gassate, quindi le varie cole, aranciate ecc, il cui pH va da 2,9 a 3,2 e poi ancora i succhi di frutta, latte di soia, avena e riso. Da aggiungere il latte e i latticini di vacca, che sono all’opposto rispetto a quelli di pecora e di capra.

    Quali sono i principali acidi contenuti in questi alimenti?
    Tra gli altri, l’acido citrico negli agrumi come il limone, l’acido malico e benzoico nelle prugne, nei frutti di bosco e nelle mele. L’acido tannico si trova nel caffè e nel tè, nella frutta acerba e nel vino rosso (anche in questo caso solo l’eccesso può causare degli scompensi all’organismo). Questi acidi, insieme alla frutta e alla verdura che li contengono, non sono nocivi, basta consumarli in modo non eccessivo, ma sempre equilibrato. Ad esempio un surplus di alimenti nella cui composizione eccedono l’acido urico, le purine, l’acido lattico o l’ossalico, possono a lungo provocare dei problemi e dei danni alla salute. Chi è sofferente di calcoli renali, ad esempio, dovrà fare attenzione ai cibi ricchi di acido ossalico (spinaci, bietole, barbabietola rossa, cacao).
    In tutti i cibi sopra citati, si è visto che la peculiarità è la loro ricca composizione a livello di acidi. Ecco che allora è bene imparare a riportare la situazione in equilibrio, attraverso il semplice consumo di alcuni tipi di verdura quali ad esempio le carote, sedano, cavolo, germogli, oppure frutta: ananas, uva, fragole e ciliegie.
    Una reazione di tipo alcalina è prodotta da alcuni alimenti tra cui quelli sopra citati e anche da altri quali ad esempio zucca, crema di latte, mela, pera, tisane ecc.
    In virtù di quanto detto sopra è bene allora conoscere e classificare gli alimenti che rientrano nel nostro consumo quotidiano dal punto di vista del loro specifico pH.
    ALIMENTI AD ALTA ACIDITÁ
    (pH < 4.5) pH pH
    Mele 3.4
    Ciliege 3.5
    Succo di limone 2.4
    Pesche 3.8
    Pere 4.1
    Sott'aceti 3.9
    Succo di pomodoro 4.3
    Succo d'arancia 3.7

    ALIMENTI A BASSA ACIDITÁ
    (pH > 4.5) pH pH
    Asparagi 5.5
    Fagioli 5.4
    Carote 5.2
    Fichi 5.0
    Funghi 5.8
    Patate 5.2
    Spinaci 5.4

    Come si fa a conoscere a livello sensoriale un alimento acido?
    L’acido è riconoscibile poiché conferisce all’alimento di cui ne caratterizza la composizione, un sapore aspro e a livello chimico, se si usa la cartina di tornasole su di esso, questa si colorerà di rosso. Gli alimenti acidi si neutralizzano grazie alla combinazione con le sostanze basiche (anche chiamate alcaline). In ambito medico si usano diverse sostanze acide, basti pensare alla comune aspirina (acido acetilsalicilico) o alla vitamina C (usata come integratore–acido ascorbico).
    Nell’organismo dell’uomo i vari liquidi organici, come ad esempio il sangue, l’urina e la saliva sono classificati come acidi, cioè il loro pH è compreso tra 0 e 7,06 mentre quelli neutri hanno 7,07 e quelli alcalini tra 7,08 e 14,14. Da questi concetti scaturisce il rapporto Acido/Basico il quale, se è in equilibrio, permette all’organismo di “stare in salute”; dunque non vi dovrebbero essere condizioni troppo acide o troppo basiche. Se invece, si propende abitualmente verso un eccesso di acidità, possono scaturire malattie denominate da “degenerazione cellulare”.
    L’acidità dell’organismo è legata a due fattori: da una parte il ricambio cellulare e dall’altra parte le scelte alimentari, ma esistono delle condizioni “aggiuntive” che possono contribuire allo sviluppo dei medesimi, come ad esempio malattie ematologiche, attività agonistiche (molto intense), malattie dermatologiche in cui il turnover cellulare è particolarmente intenso.
    Se una persona è sana e non presenta particolari patologie, è assolutamente in grado di fare semplici trasformazioni partendo dagli acidi naturali in carbonati alcalini, per riportare a una situazione di equilibrio l’intero sistema organico. Se invece il corpo è stressato, una parte di questi acidi non è tamponata ed entra in circolo (a livello ematico).


    Il tamponamento, o neutralizzazione è effettuato, ad esempio, grazie alla mobilitazione di sali minerali con potere alcalinizzante, quali ad esempio il calcio, il sodio o il potassio, i quali però sono sottratti dalle ossa, dai denti ecc. Nello specifico i sistemi di tamponamento possono essere diversi: bicarbonati, proteine plasmatiche, emoglobina, fosfati ecc.
    I meccanismi di tipo compensativo sono renale e respiratorio. Reni e polmoni agiscono con sistemi tampone basati sui bicarbonati, le proteine plasmatiche tamponano a livello ematico e a livello intracellulare. I polmoni, grazie alla respirazione, eliminano i cosiddetti “acidi volatili” i quali danno origine all’anidride carbonica che è eliminata dall’uomo ad ogni respiro.
    Si capisce così come il pH sia collegato con la salute e con tante patologie come l’osteoporosi, l’artrosi ecc.
    L’acidosi, che è legata all’alimentazione e non a cause organiche, deve partire dunque dalla corretta conoscenza dei cibi e delle loro caratteristiche chimiche, come la differenza tra cibi acidi e cibi acidificanti. Acidi come quelli della frutta sono in realtà acidi deboli (malico, citrico e tartarico), vi sono alcuni soggetti che hanno difficoltà a metabolizzare questi acidi ed ecco che sviluppano con maggiore facilità l’iperacidosi; per contrastarla, dovranno assumere alimenti alcalinizzanti.


    fonte benessere.com
     
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    Il bagnomaria


    Normale, sul fuoco: per cucinare salse o sciogliere ingredienti che soffrono il calore eccessivo. E' sufficiente sistemare un pentolino sopra un altro contenente acqua molto calda (non proprio bollente). Esistono in commercio pentole apposite che possiedono le misure per incastrarsi perfettamente.
    Per sciogliere il cioccolato "a secco", cioè senza aggiunta di burro o liquidi, è preferibile sistemare il pentolino o la ciotola con il cioccolato tritato (per accelerare i tempi) sopra la pentola con acqua bollente (ma a fuoco oramai spento) senza che il fondo tocchi l'acqua. In questo modo il cioccolato si scioglie perfettamente senza raggiungere temperature eccessive.

    In forno: serve a dare una cottura uniforme a soufflé, budini e altre preparazioni simili. E' sufficiente adagiare gli stampini individuali oppure lo stampo grande in una pirofila contenete acqua tiepida. Da un lato questo consente già all'inizio di scaldare le pareti degli stampi e dall'altro impedisce alle stesse pareti di scaldarsi eccessivamente durante la cottura, creando una crosta (questo è importante nel caso dei budini ad esempio).
     
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    Scoperte tracce piu' antico utensile, ha 3,4 milioni di anni
    Slitta all'indietro di 800.000 anni la data della realizzazione dei primi utensili



    ROMA - Gli ominidi come la celebre Lucy usavano utensili e mangiavano carne gia' 3,4 milioni di anni fa. Finora si pensava che questi comportamenti fossero tipici soltanto dei loro pronipoti piu' ''evoluti'' del genere Homo, ma adesso la data dei primi utensili slitta all'indietro di 800.000 anni. La prova e' nei segni, chiaramente inferti su una costola di un animale simile alla mucca e sul femore di una specie di antilope. E' ''il primo taglio'' della storia, come lo definisce Nature, che alla scoperta dedica la copertina. Autore della scoperta, avvenuta in Etiopia nell'ambito del progetto Didika, e' un gruppo internazionale di antropologi coordinato da Zeresenay Alemseged, dell'Accademia californiana delle scienze di San Francisco, in collaborazione con Shannon McPherron, dell'istituto tedesco Max Planck di Lipsia, per l'Antropologia evoluzionistica. Gli utensili piu' antichi finora scoperti (sempre in Etiopia) risalgono infatti a un periodo compreso fra 2,6 e 2,5 milioni di anni fa. Le ossa scoperte adesso nella regione di Afar indicano chiaramente, rilevano gli esperti, che gli ominidi ''parenti'' di Lucy, ossia della specie Australopithecus afarensis, avevano strumenti per rimuovere la carne dalle ossa e per estrarre il midollo. La scoperta e' avvenuta poco lontano dall'area in cui nel 2000 e' stata trovata la ''figlia di Lucy'', l'ominide dell'eta' di tre anni.


    fonte ansa
     
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    Mangiare sano ora è un disturbo mentale


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    L'industria psichiatrica, nel suo sforzo infinito di trasformare artificiosamente ogni attività umana in "disordini mentali", sta ora propagandando il disordine più ridicolo che abbia mai inventato: il Disturbo del Mangiare Sano.

    Non è uno scherzo: se ti focalizzi sul mangiare cibi naturali sei "mentalmente malato" e probabilmente hai bisogno di qualche tipo di cura chimica che includa potenti farmaci psicotropi. Scrive il quotidiano The Guardian: «La fissazione di mangiare sano può essere il sintomo di un grave disordine psicologico» e continua affermando che questo "disordine" è chiamato ortoressia nervosa, una locuzione Latineggiante che significa "preoccupati riguardo il mangiare correttamente".

    Ma non potevano chiamarlo semplicemente "disordine da preoccupazione sul mangiare sano", poiché sarebbe sembrato come se non sapessero di cosa stanno parlando. Per cui l'hanno traslato in Latino, così sembra intelligente (anche se non lo è). Ecco da dove proviene la maggior parte dei nomi delle malattie: i dottori descrivono i sintomi che vedono con un nome tipo osteoporosi (che significa "ossa con dei buchi").
    (IMG:http://whyareyousofat.files.wordpress.com/...10/junkfood.jpg)

    Tornando a questa malattia inventata, "ortoressia", il Guardian continua: «Gli ortoressici hanno delle regole rigide sul cibo. Il rifiuto di toccare zucchero, sale, caffeina, alcol, grano, glutine, lievito, soia, cereali e latticini non è altro che l'inizio delle restrizioni dietetiche. Ogni cibo entrato in contatto con pesticidi, diserbanti o che contiene additivi artificiali è inammissibile».

    Aspetta un secondo. Allora cercare di evitare le sostanze chimiche, i latticini, la soia e lo zucchero ora fa di voi un paziente della salute mentale? Sì, secondo questi esperti. Se prestate effettivamente attenzione all'evitare pesticidi, diserbanti e ingredienti modificati geneticamente come soia e zucchero, c'è qualcosa in voi che non va.

    Vi siete accorti che mangiare cibo spazzatura viene considerato "normale"? Se mangiate cibi spazzatura trattati con prodotti chimici sintetici secondo loro va bene. Apparentemente i malati mentali sono quelli che scelgono cibi organici e naturali.
    Cos'è "normale" allora per quanto riguarda il cibo?

    Vi avevo detto che sarebbe successo. Anni fa avevo avvertito i lettori di NaturalNews che presto ci sarebbe stato un tentativo di bandire i broccoli poiché contengono fito-nutrimenti anticancro. Questo assalto da parte della salute mentale contro i consumatori attenti alla propria salute fa parte di quel programma. È un tentativo di emarginare i consumatori di cibi sani dichiarandoli mentalmente instabili e, perciò, giustificare il loro ricovero coatto nei manicomi dove gli verranno iniettati farmaci psichiatrici e cibo istituzionale completamente trattato, morto e pieno di sostanze chimiche tossiche.

    Il Guardian si spinge perfino al ridicolo dicendo che «L'ossessione su quali sono i cibi "buoni" e quali i "cattivi" può condurre gli ortoressici ad essere malnutriti».

    Segui l'illogicità di ciò, se ci riesci: mangiare "buon" cibo causa malnutrizione! Suppongo che si ritenga che mangiando cibo cattivo vengano forniti tutti i nutrimenti di cui avete bisogno. Questa è la dichiarazione sulla nutrizione più pazza che abbia letto. Non c'è da stupirsi che la gente oggi sia così malata: gli viene detto dai media tradizionali che mangiare cibo sano è un disturbo mentale che causerà malnutrizione!
    Zitti e ingoiate la galletta verde (Soylent Green)

    È proprio come ho riferito anni fa: non avete il permesso di contestare il vostro cibo, gente. Seduti, zitti, avventatevi sul cibo e divoratelo. Smettetela di pensare a cosa state mangiando e fate quello che vi viene detto dai principali mass media e dai loro inserzionisti di cibo trattato. Non sapevate che mettere in dubbio le proprietà salutistiche del vostro cibo spazzatura è un disturbo mentale? E se siete "ossessionati" riguardo al cibo (facendo cose come leggere l'etichetta degli ingredienti, per esempio), allora siete strani. Magari perfino malati.

    Questo è il messaggio che stanno divulgando ora. I consumatori di cibo spazzatura sono "normali", "sani" e "ben nutriti". I consumatori di cibo sano, invece, sono malati, anormali e malnutriti.

    Ma perché, chiedete voi, dovrebbero attaccare quelli che mangiano sano? Persone come il dottor Gabriel Cousens possono spiegarvelo: perché una maggiore consapevolezza mentale e spirituale è possibile solo con una dieta composta da cibo vivo e naturale.

    Mangiare cibo spazzatura abbassa il vostro livello intellettivo rendendovi più facili da controllare. Questo cibo scompiglia letteralmente la vostra mente, intorpidendo i vostri sensi con il glutammato monosodico (MSG), l'aspartame ed estratti di lievito. Le persone che vivono di cibo spazzatura sono docili e perdono velocemente l'abilità di pensare con la propria testa. Seguono qualsiasi cosa gli venga detta dalla TV o da quelli che sono in una posizione di apparente autorità, senza mai porsi delle domande sulle loro azioni o su quanto sta realmente succedendo nel mondo intorno a loro.

    Al contrario, le persone che mangiano cibi sani e naturali - con tutte le sostanze nutrienti curative ancora intatte - cominciano a risvegliare la loro mente e il loro spirito. Col tempo, cominciano a mettere in discussione la realtà che li circonda e perseguono delle esplorazioni più illuminate di temi come comunità, natura, etica, filosofia e del grande quadro delle cose che stanno succedendo nel mondo. Diventano "consapevoli" e possono iniziare a vedere l'esatta struttura di Matrix, per così dire.

    Questo, ovviamente, è un pericolo enorme per quelli che gestiscono la nostra società basata sul consumo, dato che il consumo dipende dall'ignoranza unita alla suggestionabilità. Per fare in modo che la gente continui ciecamente ad acquistare cibi, medicinali, polizze sulla salute e beni di consumo, è necessario spegnere le loro funzioni cerebrali superiori. Il cibo spazzatura trattato, a cui vengono aggiunge sostanze chimiche tossiche, raggiunge questo risultato piuttosto bene. Come mai, secondo voi, il cibo morto e trattato è il pasto predefinito nelle scuole pubbliche, negli ospedali e nelle prigioni? Perché il cibo morto spegne i livelli superiori della coscienza, e tiene le persone focalizzate su qualsiasi distrazione con cui sia possibile nutrire il loro cervello: televisione, violenza, paura, sport, sesso e così via.

    In ogni caso vivere come uno zombie è "normale" nella società odierna, poiché moltissime persone lo stanno facendo. Ma non sono normali nel mio libro: il vero "normale" è una persona energica, in salute e sveglia, nutrita con cibo vivo, che agisce da cittadino sovrano in un mondo libero. Mangiare cibo vivo è come prendere la pillola rossa, perché col tempo si apre una nuova ampia prospettiva sulla struttura della realtà. Rende liberi di pensare con la propria testa.

    Mangiare cibo spazzatura trattato è come prendere la pillola blu, poiché vi tiene intrappolati in una realtà inventata, dove le esperienze di vita sono architettate dalle aziende di prodotti di consumo, le quali dirottano i vostri sensi con sostanze chimiche (come glutammato monosodico) progettate per ingannare il cervello facendogli credere che state mangiando cibo vero.

    Se volete essere vivi, consapevoli e in controllo della vostra vita, mangiate cibo sano e vivo. Ma non aspettatevi di diventare famosi presso gli "esperti" tradizionali della salute mentale o i dietologi: sono tutti programmati per considerarvi "pazzi" per il fatto che non seguite le loro diete ortodosse a base di cibo morto a cui vengono aggiunte sostanze chimiche sintetiche.

    Ma voi e io conosciamo la verità: noi siamo quelli normali. I consumatori di cibo spazzatura sono i veri malati mentali, e l'unica via per fare in modo che aprano gli occhi sul mondo reale è iniziare a nutrirli con cibo vivo.

    Alcune persone sono pronte a prendere la pillola rossa, mentre altre non lo sono. Tutto quello che si può fare è mostrare loro la porta. Devono aprirla da soli.

    Nel frattempo provate ad evitare gl i funzionare della salute mentale che stanno cercando di etichettarvi come persone affette da disturbi mentali solo perché fate attenzione a cosa introducete nel vostro corpo. Non c'è niente di male nell'evitare zucchero, soia, glutammato monosodico, aspartame, sciroppo di glucosio-fruttosio (HFCS) e altre sostanze chimiche tossiche nel cibo. A dire il vero, la vostra vita dipende da questo.

    di Mike Adams, the Health Ranger, NaturalNews Editor


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    Healthy food obsession sparks rise in new eating disorder

    Fixation with healthy eating can be sign of serious psychological disorder



    Young woman eating bowl of salad Orthorexia nervosa sufferers like to focus on 'righteous' eating and have rigid rules about avoiding certain foods. Photograph: Getty

    Eating disorder charities are reporting a rise in the number of people suffering from a serious psychological condition characterised by an obsession with healthy eating.

    The condition, orthorexia nervosa, affects equal numbers of men and women, but sufferers tend to be aged over 30, middle-class and well-educated.

    The condition was named by a Californian doctor, Steven Bratman, in 1997, and is described as a "fixation on righteous eating". Until a few years ago, there were so few sufferers that doctors usually included them under the catch-all label of "Ednos" – eating disorders not otherwise recognised. Now, experts say, orthorexics take up such a significant proportion of the Ednos group that they should be treated separately.

    "I am definitely seeing significantly more orthorexics than just a few years ago," said Ursula Philpot, chair of the British Dietetic Association's mental health group. "Other eating disorders focus on quantity of food but orthorexics can be overweight or look normal. They are solely concerned with the quality of the food they put in their bodies, refining and restricting their diets according to their personal understanding of which foods are truly 'pure'."

    Orthorexics commonly have rigid rules around eating. Refusing to touch sugar, salt, caffeine, alcohol, wheat, gluten, yeast, soya, corn and dairy foods is just the start of their diet restrictions. Any foods that have come into contact with pesticides, herbicides or contain artificial additives are also out.

    The obsession about which foods are "good" and which are "bad" means orthorexics can end up malnourished. Their dietary restrictions commonly cause sufferers to feel proud of their "virtuous" behaviour even if it means that eating becomes so stressful their personal relationships can come under pressure and they become socially isolated.

    "The issues underlying orthorexia are often the same as anorexia and the two conditions can overlap but orthorexia is very definitely a distinct disorder," said Philpot. "Those most susceptible are middle-class, well-educated people who read about food scares in the papers, research them on the internet, and have the time and money to source what they believe to be purer alternatives."

    Deanne Jade, founder of the National Centre for Eating Disorders, said: "There is a fine line between people who think they are taking care of themselves by manipulating their diet and those who have orthorexia. I see people around me who have no idea they have this disorder. I see it in my practice and I see it among my friends and colleagues."

    Jade believes the condition is on the increase because "modern society has lost its way with food". She said: "It's everywhere, from the people who think it's normal if their friends stop eating entire food groups, to the trainers in the gym who [promote] certain foods to enhance performance, to the proliferation of nutritionists, dieticians and naturopaths [who believe in curing problems through entirely natural methods such as sunlight and massage].

    "And just look in the bookshops – all the diets that advise eating according to your blood type or metabolic rate. This is all grist for the mill to those looking for proof to confirm or encourage their anxieties around food."

    www.guardian.co.uk/society/2009/aug...eating-disorder

     
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    Scaccia la fame con il frullato



    Con l'arrivo del caldo il frullato si propone come la soluzione ideale per chi, oltre ad aver perso la voglia di mettersi ai fornelli, cerca qualcosa di rinfrescante e pratico da gustare senza elaborate preparazioni. Il frullato è buono ed è pronto in 10 minuti! Una valida alternativa al pranzo ma anche uno spuntino per chi non vuole perdersi le virtù della frutta di stagione. Nelle assolate giornate estive, si sa, con l'aumento della temperatura e della sudorazione il rischio disidratazione sale e per questo bisogna integrare i liquidi e i sali minerali.
    “Il frullato - come sostiene Salvatore Ripa, endocrinologo e medico estetico - “è più salutare e si allea con le diete dimagranti.
    È inoltre più sano rispetto alle bevande dolci e gassate che ingrassano e non dissetano, agli alcolici e ai succhi di frutta dall'alto apporto calorico a causa del troppo zucchero” - continua il dottore – “Alcuni frullati vengono preparati con latte totalmente scremato e senza zucchero e soprattutto contengono verdura e frutta”.

    La scelta è ampia. Ce n’è per tutti i gusti e per tutte le esigenze. Salvatore Ripa ha studiato un frullato per gli sportivi sia prima che dopo l'attività fisica, un frullato per rilassarsi a base di mango, depurarsi con l'ananas, dimagrire e perché no anche per risultare più attraenti grazie alle proprietà afrodisiache del pomodoro e del sedano.

    Ci sono anche frullati pensati per combattere l'avanzamento dell'età grazie alle proprietà antiossidanti della vitamina A delle carote abbinate a quelle della vitamina C delle arance e a proteggere il cuore e le arterie attraverso le qualità del kiwi.

    Ecco il frullato per gli sportivi:
    Frullato di mirtillo da consumare prima di fare sport

    Ricetta: frullare mezzo bicchiere di mirtilli giganti (blueberry), un bicchiere di latte parzialmente scremato e due cucchiaini di zucchero.
    Calorie: circa 120
    Perché fa bene: è un frullato nutriente, energetico e nello stesso tempo non appesantisce.
    Il latte nutre senza apportare troppi grassi (che appesantirebbero la prestazione), lo zucchero fornisce energia pronta utile allo sforzo e i mirtilli sono pieni di virtù: ricchi di vitamina A e C, di calcio e di sostanze (antociani) antiossidanti e protettive della circolazione.
     
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    Il latte animale non è un cibo adatto agli umani


    Dicono che il latte "fa bene alle ossa". Ma chi lo dice dovrebbe informarsi meglio...

    Il latte è un usuraio della peggior specie, quegli usurai che vi fanno un prestito ma poi, se non gli ridate tutto con gli interessi impossibili, vi mandano picchiatori a spaccarvi le ossa.

    Il latte contiene calcio, utile alle ossa, e per questo viene consigliato, ampiamente consigliato, per l'osteoporosi. Ma contiene anche proteine animali, acide, che, per essere smaltite, consumano calcio.

    Come un usuraio, il latte presta un po' di calcio, ma, alla fine, ne consuma più di quello che dà. Le proteine del latte, sommate a quelle provenienti da carne e pesce, costringono l'organismo a sottrarre calcio all'osso per poter provvedere al loro smaltimento.

    Infatti, la salute dell'osso dipende molto più da quei fattori che impediscono le perdite di calcio dall'organismo che dalla semplice quantità di calcio assunta. Quasi tutto il calcio dell'organismo è contenuto nello scheletro, che è la banca del calcio. Il calcio viene perso continuamente attraverso le urine, le feci e il sudore, e queste perdite vengono reintegrate attingendo ai depositi di calcio nell'osso, che cede quindi calcio in continuazione. Il calcio immagazzinato nell'osso viene poi reintegrato con quello alimentare.

    Esiste dunque quello che viene chiamato "bilancio del calcio": bisogna che il calcio assunto con la dieta sia maggiore di quello perso, altrimenti il bilancio è negativo, e si va incontro all'osteoporosi.

    In generale, nelle popolazioni che consumano molto latte l'incidenza di osteoporosi è maggiore, mentre è rara nei paesi dove non si beve latte. É noto che tra gli esquimesi, che assumono oltre 2.000 mg di calcio al giorno, l'osteoporosi dilaga.

    Vari studi, tra i quali l'Harvard Nurses' Health Study, che ha seguito clinicamente oltre 75.000 donne per dodici anni, mostrano che l'aumentato consumo di latticini è associato con un rischio di fratture più elevato.

    Il latte, dunque, è si' l'alimento ideale, ma solo per il lattante, e solo il latte umano! Di seguito sono elencati alcuni problemi correlati al consumo di latte in adulti e bambini.

    Carenza di ferro: il latte ha un bassissimo contenuto di ferro (0.2 mg/100 mg di latte), e per riuscire a raggiungere la dose di ferro raccomandata di 15 mg al giorno, un bambino dovrebbe bere 7.5 litri di latte. In aggiunta, il latte è responsabile di perdite di sangue dal tratto intestinale, che contribuiscono a ridurre i depositi di ferro dell'organismo.

    Diabete Mellito: su 142 bambini diabetici presi in esame in uno studio, il 100% presentava nel sangue livelli elevati di un anticorpo contro una proteina del latte vaccino. Si ritiene che questi anticorpi siano gli stessi che distruggono anche le cellule pancreatiche produttrici di insulina.

    Calcio: la verdura a foglia verde, come la cicoria, la rucola, il radicchio e la bieta, è una fonte di calcio altrettanto valida, se non addirittura migliore, del latte.

    Contenuto di grassi: ad eccezione del latte scremato, il latte e i prodotti di sua derivazione sono ricchi di grassi saturi e colesterolo, che favoriscono l'insorgenza di arteriosclerosi.

    Contaminanti: il latte viene frequentemente contaminato con antibiotici, ormoni della crescita, oltre che con gli erbicidi e i pesticidi veicolati dal foraggio. Inoltre i trattamenti di sterilizzazione permettono in realtà la sopravvivenza nel latte di germi, e la Direttiva Europea 92/46/CE stabilisce un limite non superiore ai 100 mila germi per mL. La stessa Direttiva ammette anche un contenuto non superiore a 400 mila per mL di "cellule somatiche", il cui nome comune è "pus".

    Lattosio: molti soggetti di asiatici o africani sono incapaci di digerire lo zucchero del latte, il lattosio, con conseguenti coliche addominali, gas e diarrea. Il lattosio, poi, se viene digerito, libera il galattosio, un monosaccaride che è stato messo in relazione con il tumore dell'ovaio.

    Allergie: il latte è uno dei maggiori responsabili di allergie alimentari: durante la sua digestione, vengono rilasciati oltre 100 antigeni (sostanze che innescano le allergie). Spesso i sintomi sono subdoli e non vengono attribuiti direttamente al consumo di latte, ma molte persone affette da asma, rinite allergica, artrite reumatoide, migliorano smettendo di assumere latticini.

    Coliche del lattante: le proteine del latte causano coliche addominali, un problema che affligge un lattante su cinque, perché se la madre assume latticini, le proteine del latte vaccino passano nel latte materno. In 1/3 dei lattanti al seno affetti da coliche, i sintomi sono scomparsi dopo che la madre ha smesso di assumere questi cibi.

    (tratto da "Impariamo a mangiare sano con i cibi vegetali", SSNV©2005)



    fonte info latte.it
     
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    Occhio alle misure per salvare le specie



    Il pesce si mangia al metro
    L'Ue e l'Italia impongono un limite minimo di taglia

    Mangiare una frittura di pesce o un sauté di vongole si può, ma con un metro in mano, perché per salvaguardare le specie marine l'Unione europea e l'Italia impongono un limite minimo di taglia, al di sotto del quale il prodotto ittico, molluschi compresi, non può essere commercializzato. Disco verde quindi per orate lunghe almeno 20 centimetri, che diventano 11 per triglie e sardine, 18 per sgombri e tornano a 20 per le sogliole.

    E' la Federcoopesca-Confcooperative a tracciare la mappa dettagliata delle oltre trenta specie ittiche che assicurano una dieta 'eco-compatibile' e ricca di omega 3, per aiutare i consumatori a districarsi tra taglie e lunghezze; i metodi di calcolo, infatti, variano se si ha a che fare con pesci, piuttosto che molluschi o crostacei.

    Ma non è solo una questione di taglia, perché ci sono alcuni prodotti ittici, ricorda Federcoopesca, che non possono essere commercializzati in Italia per la salvaguardia della specie o perché sono nocivi per l'uomo. E' il caso, per esempio, dei datteri di mare, dello squalo bianco, di quello elefante o del pesce palla e istrice.

    L'associazione degli operatori della pesca mette in guardia anche su specie di minor valore commerciale fatte passare per pregiate. Il riferimento è per la platessa spacciata per sogliola, del persico africano per 'pesce persico', del novellame di sardine (bianchetto) per pesce ghiaccio Neosalanx tangkahkeii, del pesce topo per merluzzo e della vongola comune per 'vongola verace'.

    Il consiglio dei pescatori è dunque quello di fare acquisti in negozi di fiducia o mangiare in ristoranti che puntino sulla qualità della materia prima.

    Da ricordare, infine, che già dall'inizio dell'estate i menù a base di pesce dovrebbero essere cambiati a seguito dell'entrata in vigore, dal primo giungo di quest'anno, del Regolamento del Mediterraneo.

    Niente più seppie, calamaretti e telline sulle tavole degli italiani, come anche addio a rossetti, bianchetti e latterini, frittura di paranza. La Commissione europea ha infatti deciso nuove regole per la pesca del Mediterraneo: reti a maglie più larghe e nuove, più lunghe, distanze dalla costa. Vincoli che già a partire da questi mesi porteranno alla scomparsa dalle nostre tavole di specie ittiche che avevano una solida tradizione gastronomica ma che erano ormai da tempo conto l'obiettivo della Ue di salvaguardare le specie a rischio di estinzione.
     
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    Farsi il vino in casa

    ?

    Un utopia? Decisamente + complicato che farsi da soli la birra; comunque chi ci vuole provare legga questo post e se dovesse andare male... ci beva poi sopra Il vino proviene dalla fermentazione dello zucchero dell'uva, fermentazione attuata da microorganismi chiamati lieviti, esseri microscopici che lo scompongono trasformandolo in alcool. Questi lieviti si trovano ovunque in natura (fiori, foglie, corteccia degli alberi, terreno ecc.) e arrivano sugli acini dell'uva trasportati dagli insetti e dal vento. L'azione di questi microorganismi inizia quando, dopo la vendemmia, si procede ad ammostare l'uva, una delle fasi più importanti tra quelle che si succedono per la preparazione di una buona bottiglia di vino. Vediamole in ordine di successione.



    Vendemmia o acquisto

    Chi vuole fare l'esperienza di prepararsi un buon vino in casa deve ovviamente, in primo luogo, procurarsi l'uva. Se si dispone di un piccolo vigneto la raccolta del frutto va affrontata al momento giusto. L'uva, oltreché matura in maniera consona, non deve essere bagnata dalla pioggia o da un'eccessiva rugiada, perché ciò diluisce il mosto. Allo stesso tempo, però, essa non deve essere troppo calda perché nelle ceste può dare luogo a fermentazioni inopportune. È comunque un accorgimento importante da seguire quello di portare rapidamente l'uva alla pigiatura, perché così si possono evitare inacidimenti o altri inconvenienti che si possono verificare soprattutto se si usano ceste di plastica che non lasciano traspirare i grappoli ammucchiati.

    Questo accorgimento vale anche per chi l'uva la acquista. I tempi tra vendemmia e pigiatura è meglio che siano i più brevi possibili. A tal fine, l'acquirente dovrebbe sincerarsi che l'uva provenga da un luogo vicino, e che quindi ci siano maggiori possibilità che sia stata colta a tempo debito e non prima.

    È da evitare l'uva trasportata nei teli di plastica perché ciò dà origine, nel fondo del cassone, a un deterioramento del mosto che non è né salutare né gustoso. Se è possibile, bisognerebbe acquistare uva venduta in ceste di vimini o anche di plastica purché dotate di apposite finestrelle per l'aerazione. È sempre meglio controllare inoltre che i grappoli siano tutti sani e non solo quelli in evidenza che costituiscono lo strato superiore delle ceste.

    Una pratica sconsigliata è quella di lavare l'uva prima della pigiatura. Lavandola, infatti, si dilaverebbero proprio quei lieviti che sono i responsabili della fermentazione alcoolica, mentre gli antiparassitari non si eliminano di certo con un semplice lavaggio in acqua.



    Pigiatura

    La pigiatura è, in effetti, la prima vera e propria fase di trasformazione dell'uva in vino. Essa consiste nel comprimere i grappoli con una macchina (pigiatrice a rulli, pigiadiraspatrice, ecc.) al fine di far fuoriuscire il succo dagli acini

    Per un uso familiare, la pigiatura può essere realizzata con i piedi, così come avveniva un tempo in molte realtà contadine, dove si usavano a tal uopo casse di legno con falsi fondi bucherellati. Per piccole quantità si può anche semplicemente schiacciare l'uva con le mani dopo aver messo i grappoli in un recipiente capiente e adatto allo scopo. In verità, esistono in commercio anche pigiadiraspatrici centrifughe per uso hobbistico, ma di norma sono abbastanza inutili sia per le ridotte dimensioni che per il costo assai elevato.

    Alla pigiatura segue la diraspatura, ossia l'allontanamento dei raspi - l'ossatura del grappolo che tiene insieme gli acini - dalla polpa e dalle bucce. Essi vanno tolti per evitare un aumento dell'acidità del vino e la cessione ad esso di sostanze sgradevoli tra cui quelle tanniche che non sono propriamente salutari.



    Fermentazione

    A questo punto il mosto così ottenuto viene messo direttamente nel contenitore di fermentazione per la cosiddetta "macerazione".

    La fermentazione alcoolica è il processo mediante il quale i lieviti, come si è detto, trasformano gli zuccheri del mosto in alcool. Il mosto inoltre può contenere le bucce oppure no (vedi paragrafo 3.4).

    In questa fase, ci sono alcune regole da rispettare per ottenere un buon risultato: a) non bisogna mai coprire il contenitore in cui avviene la fermentazione; b) tenere chiuse porte e finestre nel locale in cui è in atto l'operazione (o quanto meno consentire una razionale e non sproporzionata aerazione); c) mantenere una temperatura costante nel locale e comunque compresa idealmente tra i 21 e i 25 °C; d) controllare che la produzione di anidride carbonica non sia eccessiva (anche con il semplice accorgimento di una candela stearica: se si spegne entrando nel locale significa che l'ossigeno è scarso); e) controllare la massa fermentante e intervenire in caso di tendenza a straripamento (vedi oltre). Dato che si usa un contenitore scoperto (e si può anche lasciare fermentare addirittura nello stesso tino o recipiente in cui si è pigiato), al fine di impedire che il mosto, successivamente trasformato in vino, a fermentazione conclusa inacidisca, è meglio mettere un peso sulla massa mostosa in modo che questa venga pressata. I vinificatori mettono normalmente dei pali di legno tagliati di misura e incrociati sopra il mosto. La fermentazione inizia appena 4-5 ore dopo la pigiatura e la massa entra in ebollizione dopo 24 ore. La durata della fermentazione può essere varia a seconda delle esigenze del vinificatore. Se si desidera ottenere un vino corposo, amaro e colorito e con una elevata gradazione alcoolica si può lasciar fermentare per 18-22 giorni, ossia lasciando completare il ciclo effettivo della fermentazione. Se si vuole un vino poco alcoolico, di gusto amabile e non molto corposo è meglio interromperla dopo 4 o 5 giorni. Se, infine, si gradisce un vino rosato, vinificando con la vinaccia, è opportuno interrompere la fermentazione dopo 18 o 24 ore al massimo. È importante ricordarsi di non riempire mai oltre i 3/4 della cubatura del contenitore entro cui si è messo il mosto perché durante la fase "tumultuosa" di fermentazione esso aumenta di volume e se il contenitore è troppo pieno può straripare.

    Va aggiunto anche che se si opta per la fase di fermentazione completa (quella di 18-22 giorni) va effettuata la follatura, cioè il rimescolamento del mosto una volta almeno ogni 12 ore. Questa operazione è importante perché evita probabili fenomeni di acidità, inibisce il formarsi di una quantità esagerata di anidride carbonica e facilita la soluzione dei pigmenti coloranti.

    Bisogna in conclusione precisare che non sempre il mosto presenta zuccheri sufficienti per raggiungere il minimo di 11,5 o 12 gradi alcoolici che consentono un vino sano e conservabile. In presenza di questa eventualità (verificabile con un normale densimetro inserito in un recipiente cilindrico pieno di mosto) si può aggiungere saccarosio (che poi sciogliendosi ridà fruttosio e glucosio). L'aumento di un grado alcoolico si ottiene aggiungendo al mosto in fermentazione 1,7 Kg/q di saccarosio.

    I primi giorni di ammostamento bisogna controllare che la fermentazione parta bene. Se dopo qualche tempo essa non è ancora avvenuta può darsi che la temperatura del locale sia troppo bassa, per cui occorrerà riscaldare un pochino l'ambiente. Può però anche essere il caso che vi sia carenza di lieviti. Si tenterà allora di farli riprodurre aerando il mosto (cfr. follatura) o aggiungendo sostanze azotate come il fosfato di ammonio di cui essi si nutrono. Talvolta si può ricorrere all'acquisto di lieviti selezionati da aggiungere.



    Svinatura, travaso, imbottigliamento

    Quando la fermentazione è cessata, e all'assaggio si sente che tutto lo zucchero è stato trasformato, si può passare alla svinatura che è la separazione della vinaccia (l'insieme della parti ancora solide dell'uva) dal vino. Si può usare a tal fine anche un setaccio di vimini che tratterrà tutte le impurità e i vinaccioli. Il vino ottenuto va poi versato in un contenitore (un barilotto se si tratta di una piccola quantità) che andrà riempito completamente senza che restino residui d'aria. A questo punto si lascia ridiscendere la temperatura a quella ambiente (16 °C). Volendo, si può aggiungere anche il vino che esce dalla successiva prima torchiatura che possiamo fare alle vinacce rimaste nel contenitore di fermentazione (esistono in commercio anche piccoli torchi a motore elettrico). Dalla seconda torchiatura, invece, si potrà, dopo averlo messo anch'esso in botte, "tagliarlo"* intelligentemente per il consumo quotidiano.

    Il vino in botte (o altro recipiente in cui l'avrete sigillato) continuerà il suo lavorio rilasciando continuamente depositi sedimentosi. Sarà utile quindi effettuare dei travasi in altri recipienti. In linea di massima, se si vinifica canonicamente in autunno si potrà travasare una prima volta tra fine novembre e inizio dicembre, una seconda a gennaio e una terza a primavera inoltrata. È importante travasare in giornate serene e asciutte cioè con una pressione atmosferica alta che limiti i movimenti naturali del sedimento.

    Ora non resterà che aspettare il momento buono per imbottigliare. Per il vino al suo primo anno di vita il periodo migliore per l'imbottigliamento è quello che va da giugno ad agosto. Ancora qualche mese di pazienza (almeno sei) e il vino in bottiglia è pronto per essere gustato.

    * Il "taglio" è l'operazione con la quale si miscelano due o più qualità di vino per ottenerne uno con determinati requisiti di colore, grado alcoolico e gusto.



    Vino bianco

    Se si vuole il vino bianco, quando si è pigiato e diraspato, e prima della fermentazione, si proceda a togliere le bucce mediante l'uso di sgrondatrici o di torchi. Per una piccola produzione casalinga si possono avvolgere i grappoli pigiati in una pezza di tela per poi spremerli in una pressa rudimentale (va bene anche un bidone di metallo ed un pistone di legno appositamente modellato che si premerà da sopra) o mediante l'uso di un cric per auto.



    Succo d'uva

    Con l'uva si può anche ottenere un buon succo analcolico che possono bere anche i bambini. Prendere dei grappoli d'uva nera matura, dirasparli, e mettere gli acini in un colino dove vanno lavati bene sotto acqua corrente. In una pentola, possibilmente di acciaio, si versano poi tre dita d'acqua e si aggiungono tutti gli acini lavati e scolati. Quindi si mette il tutto a cucinare a fuoco moderato. Per i primi quindici minuti bisogna rimestare frequentemente con un cucchiaio di legno, perché gli acini che devono aprirsi lasciando uscire il succo, possono attaccarsi al fondo della pentola. Se ciò si verificasse basta aggiungere ancora un po' di acqua tiepida. Dopo circa mezz'ora, quando l'acino è completamente disfatto e la pentola si è riempita di succo, spegnere e vuotare il tutto in un colino, sotto il quale avrete riposto un'ampia terrina. Aiutandosi con un cucchiaio di legno mescolare quindi le bucce e i vinaccioli rimasti nel colino e fare gocciolare il succo che ancora ne esce nella terrina sottostante.

    Nel frattempo, avrete preparato, pulite ed asciutte, delle bottigliette, possibilmente da 125 ml. Infatti, dato che il succo non contiene conservanti, una volta aperto deve essere consumato in giornata, per cui bottiglie di piccola taglia meglio si prestano a tale scopo. Le bottigliette vanno riposte nel forno freddo e questo va poi acceso e portato alla temperatura di 100-125 °C. Quando il forno ha raggiunto la temperatura indicata, si lasciano sterilizzare le bottigliette per 5 minuti e poi si spegne. A questo punto, con un guanto da cucina si prendono le bottigliette e tramite un imbuto vi si versa il succo d'uva altrettanto caldo. Infine, si posizionano le bottigliette nella tappatrice a pressione e si tappano. Si ripongono allora le bottigliette coricate una di fianco all'altra su di una tovaglia ripiegata, e si coprono con un lembo della tovaglia stessa affinché si raffreddino lentamente. Il giorno dopo, a raffreddamento ultimato, si possono etichettare e poi riporre in un luogo fresco e buio. La durata di questi succhi casalinghi è di almeno un anno. La consumazione può invece avvenire immediatamente.


    Ho tolto i chicchi d'uva dai raspi, non l'ho lavata, l'ho pigiata con le mani e con l'uso improprio del mattarello (ho le mani morbidose e profumano di vino....) e naturalmente ho seguito la procedura del blog. Ora il mosto è lì che fermenta...vedremo tra 5/6 giorni cosa è venuto fuori ^_^ Dai contadini di zona per questo tipo d'uva la fermentazione è breve, e io non faccio altro che adeguarmi :B):

     
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    Foligno.Nei sapori l'Unità d'Italia


    Una zuppa nazionale, con un ingrediente per ciascuna delle 20 regioni italiane, dal risotto piemontese al pistacchio verde di Bronte. Quale modo migliore di festeggiare i 150 dell'unita' d'Italia se non a tavola?
    Il piatto 'tricolore' si potra' gustare a Foligno, dal 23 al 26 settembre, alla rassegna 'Primi d'Italia'. Impresa ardua, quella di miscelare venti prodotti: lo confermano gli chef che della zuppa nazionale hanno fatto innumerevoli prove.
    Alla fine la scelta e' caduta sul lardo d'Arnad per la Valle d'Aosta, il riso per il Piemonte, il Grana Bella Lodi per la Lombardia, la grappa per il Friuli Venezia Giulia, il basilico per la Liguria, lo speck per il Trentino Alto Adige, il radicchio di Chioggia per il veneto, il sale di Cervia per l'Emilia Romagna. Fin qui le regioni del nord.
    L'Italia centrale contribuisce con il rigatino stagionato della Toscana, l'olio extra vergine di oliva dell'Umbria, il farro marchigiano, la zucchina romanesca, l'aglio di Sulmona (Abruzzo), i fagioli bianchi di Riccia (Molise), lo zafferano sardo.
    Nella zuppa tricolore gli ingredienti del sud sono, infine, i fagioli di Sarconi (Basilicata), il pomodorino del Piennolo (Campania), la cipolla di Tropea (Calabria), il pistacchio di bronte e le olive pugliesi.
    La zuppa nazionale non sara' l'unica celebrazione dell'unita' d'Italia: sono previste esposizioni di cimeli e reperti garibaldini, proiezioni di filmati storici, canti del Risorgimento e curiosita' legate ai gusti a tavola di Garibaldi.
     
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    La genetica del sushi




    Digerire il sushi è questione di geni: secondo un recente studio la flora intestinale dei giapponesi sarebbe in grado di produrre un enzima specifico per l’assimilazione del piatto nazionale.

    Se ogni volta che gli amici vi invitano a mangiare il sushi cercate un scusa per declinare, ve ne forniamo una scientificamente inattaccabile: "non lo digerisco, perché non ho i batteri giusti".
    Un recente studio condotto presso il National Center for Scientific Research di Roscoff (Francia) ha infatti evidenziato come i batteri intestinali dei giapponesi, e solo i loro, siano in grado di produrre enzimi specifici per la digestione delle alghe utilizzate nella preparazione del sushi.

    Alghe indigeste
    Mirjam Czjzek e il suo team hanno effettuato questa singolare scoperta nel corso di una ricerca genetica sugli enzimi di origine batterica. Uno di questi, la porfirinase, ha una caratteristica molto particolare: è in grado di rompere le molecole di carboidrati contenuti nelle pareti cellulari della porfira (o nori), un’alga rossa largamente utilizzata nella cucina nipponica per arrotolare i bocconcini di pesce crudo.

    Dimmi cosa mangi e ti dirò che geni hai
    Questo enzima è stato trovato nella Zobellia galactanivorans , un batterio marino che si ciba dell’alga, ma anche nell’intestino di alcuni volontari giapponesi che qualche tempo fa avevano partecipato a uno studio sulle differenze tra le flore batteriche intestinali di popolazioni diverse. L’enzima non è invece mai stato rinvenuto nei volontari nord americani che avevano partecipato alla stessa ricerca. Grazie a questi batteri i giapponesi sarebbero quindi in grado di digerire la porfira assimilandone i carboidrati. In tutti gli altri "intestini del mondo", invece, l’alga passerebbe "così com’è".

    Minestrone genetico
    Secondo la Czjzek questo fatto può essere spiegato solo da una modifica genetica dei batteri intestinali dei giapponesi che si sarebbero mescolati con la Zobellia, mangiata in larga quantità dai loro ospiti insieme alle alghe. Questo meccanismo, noto come trasferimento genetico orizzontale, è molto comune tra i batteri, che mescolano i loro geni dando origine a forme con caratteristiche sempre nuove, come la resistenza agli antibiotici.
    Il passaggio dei geni può avvenire per coniugazione (contatto cellula-cellula), trasformazione (acquisizione di DNA proveniente da altre cellule direttamente dall'ambiente) o trasduzione (passaggio di DNA da un batterio all'altro tramite virus).
     
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    Gli alimenti più odiati dagli italiani



    Le persone hanno indicato un alimento che non avrebbero assolutamente voluto nella loro dieta, e i risultati hanno visto prevalere, in questa classifica al negativo, i molluschi, poco graditi da quasi il 10% degli italiani. Brutti tempi anche per il passato di verdure: il 9,2% ha eliminato dalla lista degli ingredienti il minestrone. Ma sono le verdure in genere a non riscuotere proprio le simpatie dei consumatori: oltre alla minestra di verdure, gli italiani non vogliono vedere in tavola le verdure lesse (7%) o le verdure grigliate o in padella (4,3%): complessivamente, un italiano su cinque esclude in modo categorico dal proprio menù qualcosa che abbia a che fare con le verdure. Per fortuna, l’insalata va meglio (è esclusa solo dall’1,8%). Il pesce è poco apprezzato dal 5,6% e i legumi non vengono in alcun modo consumati dal 4,8%. Il latte (ma si sa, qui non è una semplice questione di gusto: c’è chi ha un’intolleranza vera) viene escluso dal 5,2%, e lo yogurt dal 4%. Stessa percentuale (4%) di chi non mangia mai (o forse non digerisce proprio) le uova. Ma ecco i più amati, a cominciare dagli affettati (non sopportati solo dal 3,9%), i formaggi (nella black list solo per il 2,9%) e le carni bianche (2,4%), per arrivare alla pasta (solo l’1% dice no), il riso, il pane e la frutta, alimenti consumati da più del 99% degli italiani.

    Ecco infine come è composto il campione di 10.000 utenti che hanno richiesto una dieta personalizzata, con lo specifico scopo di perdere peso (95% degli utenti) o di aumentarlo (5% degli utenti). Mediamente, il campione si considera in sovrappeso di 10 kg. Il 26% delle diete richieste sono finalizzate a perdere fino a 4 kg, il 37% tra 4 e 8 kg, il 23% tra 8 e 13 kg.
    Solo il 14% degli utenti si considera in un sovrappeso superiore ai 13 kg. La maggioranza degli utenti registrati è nella fascia di età tra i 35 e i 49 anni (74%) mentre solo l’8% degli iscritti ha più di 50 anni e il 17% è nella fascia di età tra i 12 e i 20 anni.

    Il sito www.melarossa.it, realizzato con la supervisione scientifica della Società Italiana di Scienza dell’Alimentazione, è in grado di elaborare diete con un data base di 435 diverse diete settimanali, per un totale di 3045 menù giornalieri, sulla base delle indicazioni fornite dai LARN (Livelli di assunzione Raccomandata di Energia e Nutrienti per la Popolazione Italiana, prodotto dall’Istituto Nazionale di Ricerca su Alimenti e Nutrizione, in collaborazione con la Società di Nutrizione Umana), dando quindi anche una adeguata rilevanza alla qualità degli acidi grassi (limitando l’apporto di acidi grassi saturi) e del rapporto tra proteine animali e vegetali.
    Ogni singola giornata presenta una dieta equilibrata nell’apporto dei macronutrienti (carboidrati grassi e proteine) e fornisce un corretto apporto di tutti i principali micronutrienti (vitamine idrosolubili, liposolubili e sali minerali).

    Fonte: www.melarossa.it
     
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  14. sorriso@
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    Castagne e marroni, frutti d'autunnoDolci o salati, lessati o arrostiti trionfano su tutte le tavole. Ma il principe resta il marron glacéA ottobre passeggiando nei boschi o in alcuni viali alberati di città, vi sarà capitato di raccogliere una castagna selvatica, guardarla, ammirarla, giocare un po' con il riccio e poi buttarla via.
    Bene, la prossima volta, infilatevela in tasca [senza riccio però] e tenetela con voi tutto l'inverno, stringetela tra le mani ogni tanto, e non vi verrà il raffreddore. Verità scentifica o credenza io l'ho fatto e mi è andata di lusso, quasi sempre.

    Saporite, dolci, energetiche e versatili: le castagne si prestano a molte interpretazioni dolci e salate. Utilizzate in cucina già ai tempi degli Etruschi, hanno trionfato sulle tavole greche e nei banchetti romani, dal IV secolo a.c. in poi.

    Il sommo poeta Virgilio le preferiva cucinate col latte, Matilde di Canossa si occupò di diffonderle alla popolazione, mentre il gastronomo francese Brillant-Savarin le abborriva perché considerate cibo dei poveri.

    Le castagne hanno costuituito per anni una grande fonte di energia e sostentamento nell'alimentazione contadina. Ricche di calorie, circa 2000 per kg, proteine vegetali e vitamine del gruppo B, oltre a una notevole dose di sali minerali, tra cui potassio e calcio.

    Ne esistono diverse varietà distribuite sul territorio italiano, dal Piemonte - castagna di Cuneo - all'Abruzzo, dalla Toscana - castagna del Monte Amiata - alla Campania, dal Veneto - marrone di San Zeno - al Lazio.

    Ottime semplicemente lessate o arrostite sulla brace, succulente mescolate a carni e pesci, indimenticabili ridotte in farina e trasformate in polente, pani, zuppe e torte.
    Ma il principe delle ricette resta il sensuale e aristocratico marron glacé, dolce prelibatezza contesa tra Italia e Francia, che se ne attribuiscono entrambe la paternità.

    Per chi vuole cimentarsi nella infinita varietà di ricette ma è frenato dal noioso passaggio-sbucciatura ecco qualche dritta.

    Prima di tutto, mettetele in una bacinella piena d'acqua: se ce ne sono di bacate verranno a galla, si eviterà così l'odioso vermetto.

    Per sbucciarle più facilmente, invece, tenetele per qualche ora nel congelatore, poi immergetele per qualche secondo in una pentola con acqua bollente e infine in acqua fredda: la buccia verrà via molto facilmente.
    Buon lavoro.
     
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    Il re dei sommelier è l'italiano Luca Gardini


    14 ottobre, 18:31 Luca Gardini si e' aggiudicato il titolo di 'Miglior sommelier del Mondo 2010', assegnato a Santo Domingo nella finale del concorso promosso dalla Worldwide Sommelier Association.


    MILANO - E' italiano il re dei sommelier. Luca Gardini si e' aggiudicato il titolo di 'Miglior sommelier del Mondo 2010', assegnato a Santo Domingo nella finale del concorso promosso dalla Worldwide Sommelier Association.

    Gardini - ventinove anni, sommelier presso il Ristorante Cracco di Milano, gia' campione europeo nel 2009 e italiano nel 2004 - ha sbaragliato la concorrenza di 14 professionisti tra i piu' esperti del panorama mondiale.

    In finale ha superato Milan Kreji ed Hector Garcia, rappresentanti della Repubblica Ceca e della Repubblica Dominicana.

    ''Questo e' un grande successo ed e' toccato a me - ha osservato Gardini in una nota dell'Ais, l'associazione italiana dei sommelier - ma voglio sottolineare lo splendido spirito con cui tutti noi concorrenti abbiamo affrontato la competizione, in un clima di profonda stima e amicizia''.

    La prossima sfida iridata della WSA e' in programma tra due anni a Londra. In gara a Santo Domingo, oltre all'Italia erano presenti altre tredici nazioni: Albania, Argentina, Repubblica Ceca, Francia, Repubblica Dominicana, Irlanda, Lettonia, Paesi Bassi, Polonia, Slovenia, Svizzera e Regno Unito.
     
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