Chi soffre di Parkinson non sa mentire

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    Chi soffre di Parkinson non sa mentire
    Secondo i ricercatori giapponesi, coloro che
    ne sono affetti sarebbero lavoratori seri e inflessibili
    LO STUDIO







    MILANO - Uno studio dell’università giapponese di Tohoku pubblicato su Brain ha fornito la prima prova neurobiologica del fatto che chi è affetto da morbo di Parkinson è incapace di mentire confermando le osservazioni psicologiche raccolte nell’ultimo secolo secondo cui questa malattia si associa a una personalità da gran lavoratore, serio, inflessibile e di elevata rettitudine morale. Nei primi del '900 il neurologo americano Carl Camp li descrive come stakanovisti che si portano il lavoro a letto, rigidi e privi di vizi, che non conoscono né alcol, né caffè, né fumo.

    GLI STUDI - Molti studi hanno confermato le sue osservazioni e quest’ultima caratteristica ha promosso addirittura numerose ricerche che indicherebbero un’associazione negativa fra fumo e malattia: da essi è scaturita la leggenda metropolitana che il fumo previene la malattia di Parkinson, mentre si tratta di una caratteristica della personalità premorbosa di questi pazienti. Come non è vero che il fumo previene il Parkinson, ma solo che chi fuma ha una personalità che tendenzialmente non si associa alla malattia, questo non significa che questo tipo di personalità predisponga al Parkinson. Si tratta infatti di studi retrospettivi che ricotruiscono a ritroso la storia dei pazienti e quindi non possono essere del tutto precisi: quest’ultimo studio giapponese che dimostra come non siano nemmeno capaci di mentire lo è invece sicuramente. Usando una particolare Pet (tomografia a emissione di positroni F-18) i ricercatori hanno scoperto che la malattia priva la corteccia cerebrale prefrontale di questi pazienti delle funzioni esecutive in cui risiederebbero i meccanismi che consentono di dire bugie. La loro estrema onestà deriverebbe dal ridotto metabolismo di quest’area e questa è anche la prima prova che è possibile valutare strumentalmente la base neurofisiologica del comportamento ingannatore dell’uomo anche al di fuori di questa malattia.

    IL LIMITE - In questo caso i pazienti dovevano dare risposte vere o volutamente false quando si chiedeva loro cosa vedevano sullo schermo di un computer (oggetti animati o inanimati) mentre veniva valutata con la Pet l’attività del loro cervello. Rispetto a soggetti normali usati come controllo avevano molta più difficoltà a mentire perché l’area cerebrale in cui si formulano le bugie risultava ipoattiva. L’unico limite dello studio consiste nel fatto che i pazienti mentivano a comando, mentre nella vita le bugie vengono raccontate spontaneamente, ma il fatto che sia quest’area cerebrale la sede in cui si elaborano le menzogne appare in ogni caso accertata e ciò consentirà di valutare la sua attività anche in chi non ha la malattia di Parkinson in situazioni dove occorre capire se qualcuno sta mentendo. La prossima macchina della verità potrebbe essere una Pet-F18....

    Cesare Peccarisi
     
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