PSICOLOGIA E MUSICA

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    PSICOLOGIA E MUSICA
    Fare musica
    Etimologicamente il termine musica deriva dall'aggettivo greco μουσικός/mousikos con chiaro riferimento alle figure delle Muse di origine greca e latina, con un collegamento alla tecnica, anch'esso derivante dal greco τέχνη/techne. Originariamente il termine non indicava una particolare arte, bensì tutte le arti delle Muse, che erano nove e ognuna rappresentava un'arte in particolare, e si riferiva a qualcosa di perfetto ed ideale.
    La musica accompagna da sempre l’esistenza umana, sicuramente da prima ancora che ne rimanesse traccia storica concreta: ogni civiltà ha sviluppato un proprio sistema musicale, o ne ha adottato uno adattandolo ai propri gusti e necessità. Mentre i primi sistemi teorici di organizzazione dei suoni risalgono probabilmente all’antica Grecia, per la comparsa di singoli “ingredienti” musicali, come la produzione volontaria di suoni da parte dell'uomo, si deve risalire al Paleolitico, epoca a cui si attribuiscono alcuni dei numerosi oggetti in osso e in pietra rinvenuti e interpretati come strumenti musicali. Osservando poi gli attuali popoli il cui stadio di sviluppo è ancora simile a quello delle culture preistoriche (ad esempio gli indios brasiliani, gli australiani aborigeni, alcune popolazioni africane), si possono formulare ipotesi sulla forma che assumeva la musica primitiva.
    Si può presumere ad esempio, che le primissime forme di musica siano nate soprattutto dal ritmo: magari per imitare il battito del cuore battendo le mani o i piedi, il ritmo cadenzato dei piedi in corsa, o del galoppo; o magari alterando, per gioco e per noia, le fonazioni spontanee durante un lavoro faticoso e monotono. Per questi motivi, e anche per la relativa facilità di costruzione, è molto probabile che i primi strumenti musicali siano stati strumenti a percussione, e presumibilmente qualche variante di tamburo.


    La musica è dunque qualcosa legato a fattori innati dell’uomo e allo stesso tempo fenomeno culturale: essa è infatti presente in tutte le culture, concorre a determinare il carattere, la continuità e lo sviluppo della cultura di cui fa parte ed è in grado di unirsi a qualsiasi attività, occasione, rapporto, istituzione, gruppo, bisogno, aspirazione e situazione.
    Tra i fattori che rendono la musica così naturale per l’uomo c’è probabilmente anche il parallelo tra essa e il linguaggio, altro aspetto universale. Si può affermare che musica e linguaggio siano entrambi dei sistemi di comunicazione: tra gli aspetti comuni vi sono l’utilizzo del canale uditivo-vocale e della scrittura, la possibilità di produrre infiniti suoni/frasi ed entrambi posseggono una fonologia, una sintassi e una semantica.
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    Tra gli studi che hanno osservato le componenti cognitive e il peso della semantica nella musica e nella sua fruizione, quello di Bharucha e Stoeckig (1987) sul priming armonico. Il priming armonico misura l’aspettativa musicale attraverso tempi di risposta forniti da soggetti su dei target che corrispondono ad accordi. Esso si basa sul modello psicolinguistico di priming semantico in cui le parole che sono in relazione semantica, come ad esempio “dottore” e “infermiera”, vengono elaborate più velocemente di quelle che non lo sono, come “dottore” e “pane” (Meyer e Schvaneveldt 1971). Bharucha e Stoeckig (1987) evidenziano come un accordo in relazione armonica col precedente viene elaborato meglio in quanto segue le ormai ben codificate regole della sintassi tonale che sono state acquisite implicitamente con l’esperienza e nell’esposizione all’ambiente musicale.
    Dunque la musica condivide parte delle “regole” della comunicazione che è propria dell’essere umano (e anche degli animali): “è impossibile non comunicare” e la musica è uno dei possibili veicoli, in particolare di emozioni, affetti, messaggi più o meno diretti.
    Lo si evince anche dalle risposte di alcuni musicisti, quindi “produttori” di musica oltre che fruitori, alla domanda: “Perché fai musica e quali bisogni/motivazioni soddisfi attraverso di essa?”
    “… So che a me da felicità, quando realizzo la mia musica, creare qualcosa che prima non c'era e che mi dia emozioni mentre la riascolto... Io soddisfo i bisogni di vedere realizzata una mia idea, e l'effetto che produce in chi la sente. Mi piace sia l'idearla che il modo in cui poi la realizzo...” (Emanuele Sterbini, polistrumentista e autore)
    “Creare musica è veicolare il proprio pensiero agli altri. Non solo emozioni o sensazioni ma il proprio modo di sentire o vivere un episodio di vita o un momento. Il musicista nel suonare autocompiace se stesso sia nell'eseguire bene un brano proprio o altrui, sia nell’ascoltare. Anche il feedback che il musicista riceve dagli altri è un consenso ed apprezzamento alle sue capacità. Suonare è lo sviluppo di una propensione alla musica che deve essere coltivata e richiede dedizione e impegno. Il riconoscimento ricevuto è la gratificazione a tale impegno profuso… Creare musica è mettere a nudo se stessi. Richiede una buona dose di autostima e di voglia di andare oltre le critiche musicali. Stare su un palco non è facile, ma le eventuali critiche vengono interiorizzate a seconda dell’autostima di ciascuno e comunque dipendono molto da chi ascolta e da come recepisce il messaggio… La musica per me è nata spontaneamente. Ho imparato a suonare da solo prima il piano, poi il flauto dolce alle elementari, poi la chitarra ed infine il flauto traverso. Tutto da solo. Se la dote è naturale e non imposta dai genitori, una volta assorbiti i principi li porti con te sempre. È una passione. Non ti pesa studiare da solo per ore cercando di produrre un suono”. (Simone De Seta, polistrumentista autodidatta per passione).

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    L’organizzazione delle funzioni di conoscenza del compositore nascerebbe già fin dall’infanzia attraverso una particolare modalità di percezione sensoriale che mette in rapporto gli oggetti del mondo con il soggetto che ascolta. Il processo creativo si basa sulle capacità di cogliere quelle somiglianze che l’uomo comune non avverte e che sono presenti in molte esperienze; infatti, dal punto di vista dinamico, la creazione musicale è un incontro spesso fortuito tra le strutture affettive e le strutture logiche intellettuali.
    L’inquadramento delle componenti musicali in sensoriali e cognitive è oggetto di studio: con sensoriale si intende una componente musicale elaborata nei primi stadi della percezione uditiva, con cognitiva invece quelle caratteristiche legate alla cultura. Per esempio DeWitt e Crowder (1987) associano al sensoriale le teorie musicali razionali che si basano sulle leggi della natura (come rapporti di frequenza semplici e serie armonica) al cognitivo le teorie empiriche basate sul contesto e sull’apprendimento (come ad esempio il contesto tonale). Per Parncutt (1989) le componenti sensoriali sono quelle legate al sistema nervoso e al sistema sensoriale, sono dunque innate e universali (soglie uditive, discriminazioni di altezza, spazialità, timbro); le componenti cognitive sono quelle acquisite attraverso la familiarità con le regolarità dell’ambiente umano, subentra la memoria semantica e dunque si parla di culturale (aspettative musicali, consonanza). I due approcci, che in letteratura non sono perfettamente delineati, si distinguono tra psicoacustico e cognitivo; entrambi concorrono all’analisi e alla comprensione dell’ambiente uditivo/musicale in un singolo sistema integrato (Gibson 1966).
    Secondo John A. Sloboda, psicologo sperimentale, le abilità musicali si costruiscono sulla base di capacità e tendenze innate che vengono ampliate e integrate con le esperienze che l’ambiente familiare e scolastico forniscono: più queste sono numerose e significative, maggiore sarà lo sviluppo delle abilità musicali.

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    Ascoltare musica
    Si è spesso ricorsi al paragone tra sistema cognitivo e computer per spiegare ed esemplificare alcuni processi mentali: ogni componente ha una funzione propria e interagisce con le altre. In ingresso arrivano i dati dal mondo esterno attraverso gli organi di senso: essi vengono quindi immagazzinati dopo aver subito, a livelli più complessi, una elaborazione e una codificazione. Il percorso di elaborazione dell’informazione, perciò, viene diviso in processi di basso e alto livello: nei primi stadi vi sarà una precedenza ad elaborare lo stimolo per “quello che è” cioè sulle sue caratteristiche fisiche, successivamente per “quello che sappiamo” di esso, confrontandolo con la nostra esperienza immagazzinata nella memoria e quindi il significato. Si può quindi differenziare il concetto di sensazione da quello di percezione: Il primo riguarda il fenomeno fisiologico di raccoglimento del segnale da parte degli organi sensoriali periferici e della sua trasmissione al sistema nervoso, mentre il secondo rappresenta la consapevolezza soggettiva di tale sensazione. Dunque, la stimolazione dell’apparato uditivo con un complesso di onde sonore diventa nel cervello un fatto percettivo quando l’individuo registra e dota di significato i dati.
    Allo stesso modo, si può immaginare la percezione acustica/musicale come il percorso dell’informazione sonora che dagli organi di senso (orecchie) giunge, attraverso zone intermedie di elaborazione, a quelle esterne di astrazione. In questo percorso le vibrazioni acustiche sono tradotte dapprima in impulsi elettrochimici, successivamente in “eventi”, cioè rappresentazioni cognitive della scena uditiva (Koelsch e Siebel 2005).
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    L’elaborazione cognitiva della musica è un’architettura divisa in più parti, in cui ognuna di queste è specializzata nel suo compito. Lo spettro acustico che giunge alle orecchie, cioè un insieme di suoni generati da diverse fonti, viene in un primo momento analizzato negli attributi acustici come altezza, intensità e timbro, in un secondo momento viene elaborato, attraverso principi che permettono di aggregare o segmentare gli elementi del campo percettivo estraendone le relazioni e dar loro significato, in quei processi di raggruppamento e di segregazione che involvono melodia, ritmo e timbro (Deutsch 1999a). In un terzo momento, si compiono quelle operazioni di astrazione che riguardano la sintassi musicale (Deutsch 1999b). Queste regole agiscono seguendo diversi indizi che sono influenzati dalla nostra esperienza (McAdams 1996), che interagisce con ogni livello di analisi, ma soprattutto con l’emozione.
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    Quindi la musica non è solo sensazione, ma neanche solo percezione: essa è affettività, sentimento: per molte persone la musica rappresenta una compagna di vita, ricoprendo il ruolo di colonna sonora di momenti più importanti, può avere varie funzioni, rilassa, energizza, rassicura, distrae, favorisce la concentrazione anche sul lavoro e spesso è utile contro noia, stress e ansia. Viene spesso utilizzata come forma di terapia o come strumento che accompagna tanto il rilassamento tanto lo sport. La musica aiuta a strutturare il pensiero ed il lavoro delle persone nell’apprendimento delle abilità linguistiche, matematiche e spaziali; soprattutto l’intelligenza musicale influisce sullo sviluppo emotivo, spirituale e culturale più di altre intelligenze. La musica può mediare emozioni e facilitare il contatto con esse e favorire perciò una maggiore consapevolezza. Dunque la motivazione alla musica è potente e multifattoriale. In generale la parola “motivazione” rimanda ad una serie di forze più o meno consapevoli che spingono verso un determinato comportamento o anche più semplicemente verso il desiderio di esso. Nel caso della motivazione alla musica, oltre a impulso e istinto, fanno da componenti significativi anche gli aspetti sociali, intendendo con tale termine qualcosa di oggettivo, esterno, capace di generare percezioni nell’ascoltatore.

    La creazione musicale genera un’espressione sonora che diventa adeguata solo se il suo autore vi riconosce un significato e può farlo riconoscere agli altri. Quindi, nella fruizione musicale, si tratta di capire una organizzazione strutturale musicale valida in se stessa e riconosciuta tale dal compositore e dall’ascoltatore.
    Ma è nato prima l’uomo o la gallina? La comprensione della musica a livello cerebrale è il risultato di una lunga esposizione alla stessa o invece esiste una predisposizione umana neurobiologica che si è evoluta con l’uomo e che ha permesso la produzione e la comprensione della musica?
    I ricercatori dell’Università Vita-Salute San Raffaele della Divisione di Neuroscienze dell’Istituto Scientifico San Raffaele di Milano esaminando l'attività cerebrale di neonati (prime 24-48 ore) ai quali sono stati fatti ascoltare, brani di Mozart, Schumann, Schubert e Chopin, hanno scoperto che ad attivarsi erano le aree dell'emisfero destro, legate all'esperienza artistica. Dunque, i bambini appena nati hanno già orecchio musicale, nel senso che il loro cervello sarebbe già predisposto a elaborare melodia e struttura musicale.
    "Il cervello è evoluto in modo tale da possedere sin dalla nascita quelle strutture necessarie all’elaborazione di funzioni complesse come la musica. Senza questa evoluzione non avremmo percepito, compreso e nemmeno prodotto quei capolavori della musica che rappresentano uno dei massimi livelli delle possibilità del cervello umano". (Dott.ssa Perani, docente di psicologia fisiologica presso l’Università Vita-Salute San Raffaele).
    I risultati di tali ricerche provano che già nelle prime ora di vita si attivano nell’emisfero destro gli stessi sistemi neurali presenti e attivati negli adulti esposti da tempo alla musica.
    La riprova è che sottoponendo i bambini all’ascolto degli stessi estratti di musica resi dissonanti o alterati nella struttura, non si attiva più l’emisfero destro (quello artistico) bensì entrano in gioco strutture dell’emisfero sinistro (deputato al ragionamento e alla comprensione del linguaggio).

    Altre ricerche hanno spostato l’attenzione anche alla vita intrauterina, fino a tempi recenti trascurata: la “nascita” è per tutti il momento dell’inizio della vita, ma non si può più ignorare che importanti esperienze avvengano anche prima. La psicologia prenatale è, infatti, relativamente giovane ma di grande importanza per ampliare le conoscenze sullo sviluppo dell’uomo. Relativamente alla musica, ad esempio, sono stati condotti esperimenti sottoponendo i feti all’ascolto di generi musicali diversi, tramite delle cuffie poste sul pancione della madre, eseguendo contemporaneamente delle ecografie tridimensionali che mostravano le espressioni facciali del bambino in risposta al brano proposto. Ebbene, la musica classica sembrava più spesso legata ad espressioni di piacere, di rilassamento e di sonno, al contrario di alcuni generi cui i bambini reagivano con agitazione motoria, cambiamenti di posizione ed espressioni facciali legati addirittura al disgusto. Rispetto al collegamento con l’esperienza prenatale, la musica, e in particolari alcuni ritmi, richiamerebbero i suoni primordiali dell’esperienza intrauterina: ad esempio, lo stato di trance, esperito attraverso i suoni di tamburi di popolazioni primitive o certe musiche occidentali quali la techno, ricorderebbero sostanzialmente l’esperienza che il bambino fa con la madre prima e subito dopo la nascita (Mancia 1998).

    Grazie anche al carattere cognitivo-semantico, la componente affettiva nella musica gioca un ruolo determinante. Si ricordi la teoria di Davies (1978) chiamata scherzosamente “Tesoro, stanno suonando la nostra canzone”: “le nostre passioni nella musica sono richiamate dal ricordo in cui la musica viene ascoltata, ricordo che riaffiora in termini di stile, frasi musicali, suoni e quant’altro. La componente affettiva ha dunque radici profondissime che vengono manifestate nelle risposte fisiologiche, e riemerge nella struttura della musica stessa che richiama la tipologia di suoni del mondo prenatale. Il fare musica per l’uomo, sembra quasi un voler ricreare, dunque imitare, una situazione che paradossalmente non ricorda e non conosce e verso la quale non potrà mai accedere”.

    Bibliografia e Sitografia
    • Aquilar F., (2011) “Psicologia della musica ed emozioni”, www.radio24.ilsole24ore.com Associazione italiana di psicoterapia cognitiva e sociale (AIPCOS), Napoli.
    • Bharucha, J. J., & Stoekig, K. (1987). Priming of chords: Spreading activation or overlapping frequency spectra. Perception and Psychophysics.
    • Davies J. B. (1978) The Psychology of Music. Stanford, California
    • Deutsch, D. (1999a). Grouping mechanisms in music, in D. Deutsch (Ed.): The psychology of music, 2nd Edition San Diego: Academic Press, 299-348.
    • Deutsch, D. (1999b). The Processing of Pitch Combinations, in D. Deutsch (Ed.): The psychology of music, 2nd Edition. San Diego: Academic Press, 349-411.
    • Gibson, J. J. (1966). The Senses Considered as Perceptual Systems (Houghton Mifflin. Boston)
    • Koelsch, S., Siebel, W. A., (2005). Towards a neural basis of music perception. Trends in Cognitive Sciences 9
    • “I neonati amano la musica” Nostrofiglio.it
    • Mancia M. (1998), Coscienza Sogno Memoria, Borla, Roma
    • McAdams, S. (1996). Audition: Cognitive Psychology of Music. In Llinas, R. & Churchland, P. (Eds.), The MindBrain Continuum, pp. 251-279, MIT Press, Cambridge, MA
    • Meyer, D.E., & Schvaneveldt, R. W. (1971). Facilitation in recognizing pairs of words: Evidence of a dependence between retrieval operations. Journal of Experimental Psychology..
    • Miani A. https://sites.google.com/site/musicmiani/w...ia-della-musica
    • Negro G. www.naturopatiaonline.eu
    • Parncutt, R. (1989). Harmony: A psychoacoustical approach. Berlin, Germany: Springer-Verlag.
    • Sloboda J. (1988) “La mente musicale Psicologia cognitivista della musica", Ed. Il Mulino
    • Tenbruck F.H, Sociologia della cultura, Roma, Bulzoni, 2002

    FONTE
     
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